L’emergenza trova del tutto impreparato la nostra Sanità. Mancano almeno la metà dei posti letto nei reparti di neuropsichiatria infantile

Disturbi del comportamento alimentare, ideazioni suicidarie, tentativi di suicidio e atti di autolesionismo. Spesso innestati su sindromi depressive o disturbi dell’umore. A soffrirne sempre di più sono i bambini e i ragazzi. Una escalation di casi che è anche una pesante eredità della pandemia e dell’emergenza sanitaria, con l’isolamento forzato imposto dal lockdown, la rarefazione delle relazioni con i coetanei, lo stop alla scuola e alle attività sportive. Ma di fronte a questo boom di casi il Servizio sanitario nazionale non è pronto.

Servono il doppio dei posti letto

Oggi, come spiega Elisa Fazzi, presidente della Sinpia (Società italiana neuropsichiatria infanzia e adolescenza) il 10% del totale dei ricoveri pediatrici si deve a disturbi neuropsichiatrici, con un aumento sensibile della prevalenza delle malattie mentali, come rilevato da Fondazione Abio Italia. «I ricoveri per anoressia sono triplicati, così come quelli per tentato suicidio e autolesionismo», dice Fazzi. Una emergenza che trova del tutto impreparato la nostra Sanità. Mancano almeno la metà dei posti letto nei reparti di neuropsichiatria infantile, solo ora sembra essere prossimo allo sblocco un servizio informativo nazionale per raccogliere dati puntuali e mettere ordine, sanando gravi inefficienze. «Il forte aumento delle richieste sta completamente saturando i posti disponibili e compromette le risposte per disturbi gravi e complessi per i quali è indispensabile una competenza specialistica», prosegue Fazzi.

Le carenze del Servizio sanitario: i numeri

Attualmente sono appena 403 i posti letto di degenza ordinaria di neuropsichiatria infantile su tutto il territorio nazionale. Del tutto insufficienti per far fronte all’incremento progressivo dei casi. Ne servirebbero almeno 700. E anche questa dotazione sarebbe, comunque, solo una soglia minima per far fronte almeno alle situazioni di massima urgenza. Ne consegue che tanti bambini e adolescenti vengono ricoverati nei reparti per adulti: il 30% del totale. «Una collocazione gravemente inappropriata secondo tutte le indicazioni della medicina di precisione», osserva Fazzi. Sì, perché le equipe dei reparti per adulti non sono formate per un tipo di relazione con il piccolo paziente che coinvolge tutta la famiglia, che nella terapia analizza il contesto sociale, il rapporto con i genitori, con i coetanei, il comportamento all’interno della scuola. Si tratta di uno dei capisaldi della neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza: il disturbo del bambino è spesso infatti la punta dell’iceberg di relazioni disfunzionali all’interno del nucleo famigliare o nel contesto sociale.

I ricoveri nei reparti per gli adulti sono un trauma

«Quasi sempre – avverte Fazzi – il ricovero in un reparto per adulti, non attrezzato per accogliere e coinvolgere la famiglia come avviene in una struttura per l’infanzia e l’adolescenza, costituisce un grave trauma per il piccolo paziente». Condizioni aggravate dal fatto che i disturbi psichiatrici compaiono in età sempre più precoce. L’anoressia, per esempio, adesso si manifesta anche a undici o dodici anni facendo vittime non solo tra le femmine ma anche tra i maschi, anche se le prime restano in prevalenza. «La grande sofferenza dei bambini e dei ragazzi durante la pandemia si è manifestata anche nei disegni – spiega Fazzi -. Disegni terribili, angoscianti, che esprimono anche tutta la preoccupazione per la salute dei famigliari, per il loro futuro lavorativo, in uno stato di isolamento e di grande insicurezza».

Gli impegni disattesi rispetto ai fabbisogni

Nella generale e grave carenza di posti letto nei reparti preposti alla neuropsichiatria infantile spiccano le regioni che non ne hanno nemmeno uno. Umbria, Calabria, Abruzzo, Basilicata, Valle d’Aosta: qui c’è il deserto. Quanto ai pochi reparti che ci sono in Italia dovrebbero essere riconosciuti ad alta intensità di cure e i servizi territoriali, secondo gli specialisti, andrebbero potenziati con almeno una unità complessa ogni 150-250 mila abitanti, con equipe multidisciplinari complete. Eppure è tutto fermo nonostante le linee di indirizzo messe a punto dalla stessa Sinpia quattro anni fa, nel 2019. Un documento che detta le condizioni minime da garantire. Quel documento è stato esaminato e discusso dalla Conferenza unificata Stato-Regioni, che lo ha approvato sempre nel 2019. «Siamo in attesa da allora – conclude Fazzi -. Quelle linee di indirizzo non sono state ancora recepite a livello nazionale».

FONTE: Il Sole 24 ore Salute